La chiave nel latte

Alexandre Hmine

Opera prima
Vincitore del premio Studer/Ganz 2017
Casa editrice locale, la Gabriele Capelli editore
Queste le premesse.
Un amico mi presta il libro dicendomi che lui lo ha letto più volte nelle varie fasi di lavorazione e che quindi il suo giudizio non è obiettivo.
Leggilo e dimmi come ti sembra mi dice.
Io scettica, perché nelle prime pagine abbondano termini dialettali e atmosfere tipiche del territorio ticinese. Mi fermo a riflettere sul senso, mi chiedo: perché scrivere un libro che probabilmente fuori da un raggio di cento chilometri faticherebbero a comprendere?
Proseguo.
E proseguo.
E lo finisco e mi piace.
Perché se dico “propi bei”, “porco sciampin”, “ghe mia pressa” “vosa mia!” qualcuno penserà che sia arabo e forse in qualche modo ci prenderebbe.
Alexandre (sarà questo la traduzione del nome arabo che viene citata nel libro?) è marocchino e viene affidato bambino a una vecchia di un piccolo paese dell’alto Malcantone, in Ticino.
Cresce con i modi e con i suoni del paese Alexandre. Le campane, il calcio giocato per strada che tanto non passa quasi mai nessuno, la polenta e le sgridate dell’Elvezia, che è burbera ma gli vuole bene.
Cresce con le paure, le incertezze e i tentennamenti di un giovane Holden dei giorni nostri.
La tivù balorda di quegli anni, i videogiochi, le prime fallimentari esperienze amorose.
Alexandre, perché non sai l’arabo? Eppure sei marocchino.
Alexandre, tu non sei di qui, vero? Però sarai musulmano.
E poi giù: basta monti, si torna in città da mamma, si affondano le mani e i piedi nelle proprie radici biologiche, nella famiglia che ricostruisce quotidianamente il suo pezzo di Marocco in terra rossocrociata.
E si è svizzeri. Marocchini. Paesani. Cittadini. Ragazzi. Uomini. Figli. Fratelli.
Si è studenti di lettere e poi professori.
“pensavo che era il prof di inglese” dice ad Alexandre l’alunno sgrammaticato e condizionato dall’aspetto esteriore del suo interlocutore.
Siete l’immagine che gli altri hanno di voi?
Ecco, forse il senso e la forza di questo libro sta tutta qui.
Di quante etichette, di quante caselle abbiamo bisogno per sentirci meno insicuri?
In queste duecento pagine Alexandre ce le scompiglia tutte quelle caselle.
Perché ha la pelle scura ma parla dialetto.
Perché di fronte a una famiglia biologica che lo reclama come bravo musulmano lui dice no, anche se poi di fronte al resto del mondo di mangiare maiale non se ne parla proprio.
Perché lui sui divani arabi che arredano case svizzere non si trova a suo agio. Perché “essere” di chi ti cresce non è sempre semplice.
Eppure chi ti guarda le vede chiare le tue radici. Oppure no?

Opera prima
Vincitore del premio Studer/Ganz 2017

Alexandre Hmine
La chiave nel latte
Capelli editore, 2018

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