Penultime parole di Cristò

Tutta la lettura di Penultime parole, l’ultimo libro di Cristò, è stata accompagnata da una sensazione stranissima. Un senso di grande fermento e allo stesso tempo di assoluta vertigine.

Ho letto la sinossi del libro per riuscire a dare un contorno a questa percezione ma non sono riuscita a ritrovarmi in nessuna di quelle parole. Certo, la trama, se di trama si può parlare, è raccontabile in modo abbastanza lineare.

In una casa sulla collina vive una famiglia di cinque persone di cui, col passare degli anni, ne rimangono solo le due: Teresa e la sorella, colei che pur restando senza nome, è la voce narrante della storia.

“la casa era piccola – rispose – , non potevamo conservare il superfluo. Tutte le cose dovevano essere utili; dovevano esserlo anche le parole.
Non ci si può perdere in chiacchiere in una casa tanto piccola, non ci si può permettere di discutere, figuriamoci di litigare. Le persone arrabbiate si espandono, occupano spazio”.

Inizia così Penultime parole, con uno stile pulitissimo e misurato, preciso come un disegno tecnico al quale nessun orpello è richiesto. C’è il tempo che passa. C’è il tempo che attraversa implacabile la vita della famiglia, degli oggetti, delle sorelle, delle anime, dei cervelli. Nel susseguirsi dei giorni sempre uguali il progressivo svuotamento di quella piccola casa sulla collina appare come qualcosa di catartico: gli innumerevoli libri che per anni hanno stipato camere e scaffali vengono gettati in un fosso, quasi a voler seminare di parole quel terreno così arido di sentimenti. La storia, tutta interiore, si modella su quanto di più esteriore si possa osservare: la natura che cresce, che decide dove, come e quanto spazio occupare. La natura che perpetua il tempo e le stagioni in un ciclo silenzioso eppure potentissimo al quale la protagonista si affida accomodandosi come fosse in un enorme ventre nel quale rinascere o finalmente poter morire.

È chiaro che per leggere le parole di Cristò si devono inforcare quel tipo di occhiali che ci permettono di vedere il metafisico, il riflesso di ciò che siamo o di ciò che vorremmo essere.
Allora la casa sulla collina diventa il perimetro mentale che “tiene insieme” e al tempo stesso impone la rinuncia di uno spazio vitale.
Allora il gesto di svuotare la casa per far posto al silenzio diventa luce salvifica capace di illuminare quel cono d’ombra in cui sembrano sprofondare persone e pensieri.

È un gioco di specchi, mi dico. Saranno davvero due le sorelle? Agota Kristof aleggia fra le pagine ma Cristò è bravo a mantenermi sulla sua strada, sul suo stile. È un gioco mentale, penso. Davvero la natura prende il sopravvento colonizzando muri e persone? Ecco che anche Vitaliano Trevisan passa contando i suoi passi, fino a quindicimila.

La presenza degli altri non posso che presumerla, in fondo anche la mia” scrive Cristò. Ci rifletto, e penso che forse bisognerebbe avere il coraggio di lasciarsi presumere e non necessariamente definire, né ricordare.

Cristò
Penultime parole
Mondadori, 2025

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