Il personale e l’universale. Un sentiero che diventa un campo aperto senza confini di tempo o spazio, un paesaggio che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ha abitato.
Invernale protegge il lettore con un inizio capace di far sì che alcuni possano girare i tacchi dopo poche pagine. Non fa per me. Troppa realtà, troppa fibra, troppa fatica camminare su un terreno così accidentato.
Mi volto: qualcuno è restato. Bene. A volte si deve pur rischiare e si deve pur faticare per arrivare a guardarsi in faccia.
Il mercato di Porta Palazzo a Torino è il palcoscenico dal quale ogni giorno si replica uno spettacolo fatto di colori, odori, suoni e umori che fanno di questo luogo popolare un vero e proprio tempio.
Gino è macellaio. Il suo banco trabocca di carni perfettamente lavorate, pronte per essere adocchiate, scelte e poi trasformate in succulenti piatti destinati a consacrare i quotidiani riti famigliari.
La sua è una professione di fatica fisica, di rapidità e abilità nel valutare, prevedere, misurare. Rino ha il polso della situazione: sa capire i clienti, capisce quanto, cosa e come esporre nella sua vetrina immacolata. Sa che le bestie devono essere macellate con precisione e maestria. Coi coltelli niente incertezze. Bisogna avere il gesto negli occhi, il risultato nella testa. L’intero diventa parte, l’animale fettine, costolette, coratelle et voilà.
Doti innate, visioni. Come nel calcio, quando ad alcuni è sufficiente vedere il gesto atletico sul manto erboso per sapere del gol che verrà.
Un giorno il macellaio si taglia un dito. L’animale senza vita contamina con i suoi batteri i giorni dell’uomo che ha calato la lama nulle sue carni.
Il tempo cambia ritmo, il vociare del mercato inizia a essere sempre più confuso, lontano. Il macellaio è un marito, un padre. Si stanca. Si ammala. Tenta la cura.
Dario Voltolini si mette al fianco di suo padre Gino e lo accompagna in un dialogo silenzioso, Tenterà di aiutarlo imparando un mestiere che non gli apparterrà, lo raggiungerà nell’ospedale in cui la speranza passa per via endovenosa, lo capirà come mai prima di quell’evento improvviso e tremendo.
Invernale è un canto che profuma di tiglio
Quattro (fra le molte) cose che mi porto via da questo libro:
- La partita Argentina-Italia 0-1 dei gironi eliminatori del Mondiale ‘78
- Il palazzo dello studio medico con le finestre a oblò che sembra uscito da un film di Jaques Tati
- Il freddo che arriva da dentro quando davanti a noi si apre l’abisso
- La dolcezza del rispetto
Dario Voltolini
Invernale
La nave di Teseo, 2024
Il 2 giugno del 2015, Festa della Repubblica Italiana e giorno in cui,
nel 1932, nacque mio padre,
piazza Pitagora, a Torino, dopo il tramonto,
era satura del profumo dei tigli.
C’era una luna bella grassa in cielo,
ma gli angoli della piazza, il bar, i muri dei palazzi
erano bui.
Anche ore dopo, in un altro punto della città, corso Brescia
era gonfio del profumo che il tiglio rilascia nell’aria calda,
e così era in tutta la città in ogni ora senza vento
nei suoi viali inondati di fogliame
quando attraversi attento sebbene le strade siano deserte.
Anno dopo anno, la fioritura di questi alberi sembra far ricordare
scene passate,
ma è difficile fissarle e renderle certe, sono alla fine suggestioni
legate ai luoghi, ai viali, alla primavera in cui finiscono
le dannate scuole.
Puttane cinesi lavorano nel retro.