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Dopo il diluvio

Leonardo Malaguti

Questa volta si tratta di una cosa seria, le nuvole si stanno infittendo e sono sempre più scure figliolo, l’ombrello non basta, il demonio si sta fregando le mani nell’attesa. Nessuno ha ancora capito che il diluvio e l’allagamento sono stati un avviso, nessuno ha capito il messaggio: Dio si è messo avanti col lavoro, perché è meglio se il collasso avviene per gradi. Ricostruite pure le vostre casette di cartapesta, riempite i buchi per terra, riparate strade e negozi, tra poco sarete spazzati via tutti

In cima a una valle stretta e cupa c’è un paese che viene sommerso dall’acqua. Come fosse un’enorme ciotola, la conca che accoglie case e vie si riempie inesorabilmente fino all’orlo, costringendo gli abitanti ad arrampicarsi sui tetti per non morire annegati.
Eppure si dice che l’acqua trovi sempre una via. Non qui, però. Non questa volta. L’inghippo, anzi l’intoppo, viene presto scoperto: il cadavere dell’odiato sindaco ostruisce il canale di scolo impedendo all’acqua di defluire.
Sembra l’inizio di un giallo. Invece Dopo il diluvio è una fiaba nera.
In questa opera prima Leonardo Malaguti è un abile acrobata che diverte il lettore con una narrazione costantemente in bilico fra la farsa e il comico, il tragico e il grottesco. Il diluvio, dunque, perché il peggio di ognuno possa a venire a galla. Causa apparente dello stravolgimento di questo piccolo paese isolato nello spazio e nel tempo, è l’acqua che scende incessantemente la chiave di volta perché l’imprevisto, la paura e l’angoscia possano trasformare per sempre gli uomini.

Poi l’acqua se ne va e il paese piano piano asciuga. È solo allora che gli uomini si rivelano per ciò che sono. “La disperazione fu scambiata per speranza”.

Così, quando in paese arriva un telegramma nel quale si annuncia l’imminente avanzata di un fantomatico nemico, gli abitanti rimangono paralizzati nelle loro ataviche paure e, come mosche prigioniere in un bicchiere, continuano a fare solo ciò che sanno, solo ciò che in fondo hanno sempre fatto.
Sembra un campionario di personaggi felliniani quello che popola le pagine di questo libro, ed ognuno, a dispetto del suo ruolo e della sua etichetta, dopo il diluvio si ritrova improvvisamente senza maschera a recitare la propria verità.
Così il mite Signor Keller si rivela uno stupratore, il rispettabile Pastore Thulin tradisce il suo gregge di fedeli per qualche ora al bordello, il generale Krauss da onnipotente burattinaio diventa disperato spettatore. E poi Lisetska, l’adultera che si ritrova ad essere la strega da bruciare per la salvezza di tutti. Il contadino Marz, solo con le sue rape e Madame Gebick con la sua gamba di legno. Ultimi ma non ultimi, Berta e Adam, una madre ex soldato e un figlio ispettore, due facce della medesima medaglia, gli unici che sembrano vedere ciò che veramente accade. L’una che tutto osserva e tutto capisce. L’altro, che pure intravede e intuisce, ma che al paese preferisce una pigrissima fuga dalla paranoia collettiva che regge le regole di questa comunità.

Il famigerato telegramma che aveva aperto il vaso di Pandora veniva letto tutte le mattine da qualche volenteroso per tenere vivi gli animi, ma molti dei paesani che ogni giorno si alzavano pronti a lottare nascosti dietro le loro trincee casalinghe cominciavano a stancarsi della lentezza di quell’invasore che stava prendendo con troppa calma il suo compito di attacco

Questo è un libro di confini. Dove c’è un dentro e un fuori. Dove c’è un’immobilità fisica e di pensiero. Dove la paura paralizza e spinge a un rifiuto di qualsiasi azione di salvezza.
Sembra però anche un quadro di Bruegel, perché la storia è intinta in una pece nera, che sa di medioevo del pensiero, di ipocrisie squisitamente umane, di tragicomico destino che gli abitanti in qualche modo scelgono di abbracciare.

 

 

Con questo libro Leonardo Malaguti, classe 1993, è stato finalista al Premio nazionale di letteratura Neri Pozza

Leonardo Malaguti
Dopo il diluvio
Exòrma Edizioni, 2018

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