La trama e l’ ordito. L’ intreccio delle parole.
Immagino la letteratura come un tessuto prezioso. Ogni libro che aggiungo al mio bagaglio di lettrice è un nuovo filo che si accosta, si interseca, si annoda a quelli già presenti, per creare quel sorprendente intreccio che è letteratura.
Ad ogni “puntata” due libri. Due fili, che ho percepito come come trama e ordito di un’unica tela.
Etichette ingannevoli
Ci sono cose che, a seconda del il loro utilizzo, possono essere utili o riduttive. Le etichette, ad esempio.
Usate per distinguere la marmellata di pesche da quella di albicocche si rivelano pratiche, efficaci. Così se appiccicate sul frontespizio di una cartelletta: risparmiano la fatica di doverla aprire ogni volta per verificare il contenuto.
Le etichette possono essere usate bene anche per certi generi letterari. Per i thriller e i gialli le etichette svolgono ancora egregiamente il loro lavoro: distinguono e identificano. In un certo senso riassumono.
Ci sono volte – però – in cui l’etichetta limita, riduce, sminuisce. Distorce perfino. È il caso di due romanzi La stanza di Giovanni di James Baldwin e La statua di sale di Gore Vidal che ho trovato spesso etichettati come “storie d’amore omosessuali” o “narrativa gay”.
Per fare un paragone spiccio, sarebbe come definire l’Odissea un racconto di mare perché ci sono delle navi.
I due romanzi in questione narrano di vita, paura, gioventù e amore. E l’amore, così come le relazioni umane tutte, è materia così complessa e stratificata che ridurlo a etichetta equivale a togliere ossigeno a qualcosa di vitale.
Imprigionare questi due romanzi in una definizione così rigida significa svilirli, ridurre in modo semplicistico e miope la parte di un tutto ben più grande e affascinante.
La stanza di Giovanni, di James Baldwin
La stanza di Giovanni è un romanzo splendido in cui James Baldwin mette il sentimento dell’amore al centro della vita di ogni personaggio che attraversa le pagine di una vicenda ambientata nella Parigi degli anni ’50.
La voce è quella di David, giovane americano. Fidanzato con Hella, una fugace esperienza sessuale con il giovane Joy, David trascorre le sue giornate europee in cerca di quel se stesso che non riesce a definire né capire. I sentimenti e i pensieri sul proprio futuro sono tutt’altro che nitidi e David fatica a trovare la certezza che desidererebbe avere una volta rientrato in patria.
La vita più semplice da realizzare è quella perfettamente conforme alle regole sociali che gli permetterebbero un’esistenza tranquilla ma David è dubbioso, incerto, insoddisfatto, inquieto.
Sulla sua strada troverà Giovanni, uno squattrinato ragazzo italiano barista in locale notturno. Uno sguardo e due parole, quelle giuste e il fragile presente di David va in pezzi.
La seduzione di una conversazione fatta di intesa, provocazione, ammiccamenti esplode suo malgrado e, nonostante un rifiuto costruito con le armi della razionalità David si trova a fare i conti con il suo nucleo più intimo, indifeso, nascosto.
Accadranno cose terribili che segneranno per sempre la vita di David. La stanza di Giovanni sarà santuario e calvario. L’amore è qualcosa di complesso e non sempre lo si capisce per tempo ma chi c’è passato attraverso non sarà mai più come prima.
“Le persone sono piene di sorprese, anche per loro stesse, se vengono provocate a sufficienza.”
La statua di sale, di Gore Vidal
Molti lettori sostengono che un’opera debba bastare a se stessa, che il sapere – o meno – le vicende dell’autore non cambi la qualità del testo. Io sono d’accordo a metà. Perché sapere che La statua di sale è datato 1948 può fare la differenza. E se il periodo storico non fosse sufficiente, sicuramente per me lo è stato il sapere che Gore Vidal fu considerato l’enfant terrible della cultura americana e che questo romanzo fu ostacolato dalla critica che lo definì osceno.
La lenta, faticosa scoperta e accettazione di se stessi. Jim e Bob, compagni di scuola nella benestante Virginia. Giovani, belli, atletici e amici. Dopo la cerimonia dei diplomi passano un ultimo pomeriggio insieme prima che Bob, maggiore di un anno, parta per la vita di mare. Un pomeriggio cameratesco che sfuma fra il gioco, le confidenze in punta di piedi e i battiti accelerati di giovani cuori in una prima esperienza d’amore omosessuale. Ci scriviamo, vero? Ci rivedremo per mare, vero? Ma il mare è grande e i due ragazzi, pur credendosi tanto affini, quasi gemelli dice Jim, sono di fatto molto differenti. Per mare non si incontreranno mai.
La penna di Vidal è veloce, secca, senza incertezze. Forse scomoda in quegli anni (per alcuni potrebbe esserlo ancor oggi). Una penna necessaria, che racconta di un’omosessualità naturale, che in più di una pagina ci racconta della difficoltà di convivere col concetto di “normale” e “non normale”. Jim è un frutto acerbo che matura piano piano. E bisogna aspettare e guardarlo e toccarlo senza sciuparlo, prima di poterne apprezzare la dolcezza. Anche quella violenta con la nota – asprissima – del finale.
“Quando gli occhi sono chiusi, comincia il mondo reale.”
James Baldwin
La stanza di Giovanni
Traduzione di Alessandro Clericuzio
Gore Vidal
La statua di sale
Traduzione Alessandra Osti