L’ultima stagione

Giro pigramente il cucchiaino nella tazzina e quei minuscoli cristalli bianchi si sciologono, regalandomi la gioia di un sorso breve ma necessario per iniziare la giornata. Uno, grazie. È la mia risposta quando mi chiedono: quanto zucchero?
Prima di questa lettura, fra le innumerevoli cose che ignoravo, c’era anche quella relativa alla stagionalità della produzione di zucchero.
Non sapevo, ad esempio, che la “campagna” iniziasse i primi di agosto, quando i produttori di barbabietola da zucchero trasportano l’ortaggio alla zona di stoccaggio dello stabilimento, né tantomeno che finisse a settembre, ottobre nelle annate più fortunate.

Il racconto operaio di Andrea Bazzanini ci porta indietro di vent’anni, nel 2004: siamo sul piazzale polveroso dello zuccherificio di Ostellato, dove l’incessante via vai di camion pieni di barbabietole scaricano ogni giorno quintali di potenziale dolcezza.
Ci porta anche negli occhi e nei cuori delle persone che ogni anno attendono lo squillo del telefono, la chiamata della Patti che assicurerà loro uno stipendio nei mesi a venire.
Occhi e cuori che guardano il cielo per capire, ipotizzare, sperare che sia una buona stagione, abbastanza lunga per mettere insieme cinquantuno giornate di lavoro effettivo, in modo da poter maturare il diritto alla buonuscita di disoccupazione.
Occhi e cuori che sperano di diventare come i semifissi, che di giornate riescono a farne centocinquantuno, lavorano sette mesi e prendono il sussidio per gli altri cinque.

Lo zuccherificio diventa il teatro umano nel quale i caratteri e le coloriture di coloro che sudano e imprecano e scherzano e lavorano durante la stagione diventano talmente realistici da trasformarsi in personaggi universali.
I nomi dei lavoratori lasciano il posto alla fulminea efficacia del soprannome: Goghèn, Il Cinès, Panaro, Marione, Guvstasson, Mansell, Zichichi e Mulo, la voce narrante.
Le uniche a conservare il nome di battesimo sembrano essere le donne, che in questo racconto rivestono un ruolo speciale: compagne di lavoro, avversarie, oggetti del desiderio irraggiungibili.o

La provincia scomparsa

L’ultima stagione racconta la fine di un’epoca che ha interessato molte provincie italiane e lo fa in modo intelligente, dal basso, dal dentro, toccando con sagacia e leggerezza (quella raccomandata da Calvino nelle sue Lezioni Americane) i temi del lavoro, della dignità, della solidarietà e della libertà.
Lotta dei poveri, lotta fra poveri, che chi sta ai piani alti ignora o, semplicemente, non considera.
Si ride, ci si commuove e si riflette. Tutto in un centinaio di pagine, il che, per me, è segno di qualità.
Durante la lettura mi sono immaginata questo libro nelle mani di Luciano Bianciardi; credo che lo avrebbe amato molto.

Un frammento

Da pagina 32:

Aurelio era l’ultimo della lista a cui avevo telefonato. Oltre a me, l’unico un po’ in pena. Allora gli avevo raccontato ciò che mi aveva detto il Cinès, sull’intenzione di Serra di chiamare dei carcerati come stagionali, e lui poveretto, non aveva saputo dirmi altro che: “speriamo di no”. Siccome avevamo tem ci ho messipo entrambi, forse per consolarci della nostra situazione, ci eravamo messi a parlare d’altro. Non che ci fosse molto. Aurelio non prendeva vacanze e diceva che a Jolanda si moriva di caldo e di zanzare. Era costretto a studiare per mettersi avanti con gli esami di ottobre perché sapeva che quando, e se, fosse cominciata la campagna non avrebbe più avuto tempo. ”E tu Mulo cosa fai?” Mi aveva chiesto con la sua vocina pacata di bambino. ”Cosa vuoi, per ora aspetto. Se mi confermano che non mi chiamano, mi metterò a rubare, così mi sbattono in galera e poi mi riprendono a lavorare…”.
Con Aurelio ti veniva da scherzare perché era così ingenuo che la sua meraviglia ti metteva allegria.

Andrea Bazzanini
L’ultima stagione

OLIGO editore, 2024

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