La valle dell'eden: Un viaggio indimenticabile
John Steinbeck è il mio paio di scarpe comode. Lo leggo e sto bene. Lo leggo e so che farò un lungo viaggio. Che respirerò al ritmo che lui mi dirà, che guarderò le cose illuminate dalla luce che lui saprà orientare per mostrarmi i lati più intimi delle persone di cui narra.
Persone e non personaggi.
Quelle di Steinbeck saltano fuori dalla pagina, e tu non ci puoi fare nulla, che ti piaccia o no te le devi tenere accanto con il loro odore, con i loro occhi disperati o sognanti o innamorati. Con i loro pregi e i loro difetti, lo sguardo fisso verso un orizzonte che ti sembra di conoscere anche se non lo hai mai visto.
La Valle dell’Eden è un romanzo torrenziale. Potrebbe sembrare presuntuoso dire “qua dentro c’è tutto” ma di fatto è così.
Se dovessi fare una sintesi estrema a beneficio di chi ama la brevità direi che è il romanzo della luce e dell’ombra, del bene e del male. È il romanzo della fragilità e dell’immensità di quel sentimento chiamato amore, che quanto più appare ingiusto e irraggiungibile, tanto più governa le nostre azioni.
È un romanzo di vuoti e di pieni. Di sentimenti taciuti, di sogni inseguiti, di famiglie frantumate dall’odio e di altre continuamente rigenerate dall’altruismo.
Steinbeck affermò che “tutto ciò che ho scritto è stato, in qualche modo, di preparazione a questo”.
Chi ha già letto questo grandissimo autore ritroverà anche a Est dell’Eden temi a lui cari come la potenza (e prepotenza) della natura e l’aspetto sociale che sempre condizionano, forgiano, delimitano o fungono da volano per le azioni delle persone che vivono fra le pagine.
Chi non ha mai letto Steinbeck e inizierà da questo libro, si regalerà un’esperienza meravigliosa.
Per chi vuole sapere – comunque – di cosa si parla:
Due sono le storie che si intrecciano, due sono le famiglie: i Trask e gli Hamilton.
Il luogo è Salinas, in California, e il periodo è quello compreso tra la Guerra Civile e la Prima Guerra Mondiale.
La storia si dipana negli anni, le generazioni si susseguono dando vita a una sorta di metafora biblica in cui la vicenda di Caino e Abele si sovrappone a quella di Charles e Adam Trask prima e di Caleb e Aaron poi.
Ma non basta, ovviamente. Steinbeck vuole rappresentare il male assoluto, e lo fa attraverso la figura di Cathy, un abisso di malvagità, o forse solo di disperazione.
E ancora: Samuel Hamilton (il nonno di Steinbeck) un inventore formidabile, un pozzo di creatività e di intelligenza che si nutre di speranza e fiducia per sopravvivere alla povertà, unico frutto che la sua terra arida gli riserva.
Sua moglie Liza, e poi Susan, Will, Olive e molti altri.
Su tutti Lee, il servitore cinese di Adam.
Se vi capiterà di leggere o rileggere questo romanzo pensate anche solo per un momento alla grandezza del personaggio di Lee. Poi pensate al concetto di Amore. Poi a quello di Famiglia.
Lee è forse l’espressione più bella, commovente, divertente, emozionante e generosa che un essere umano può incarnare e che uno scrittore abbia regalato a noi lettori.
Oltre il libro
Nel 1955 Elia Kazan trasse un film da questo romanzo. Fu il debutto di James Dean, nella parte di Caleb.