Questo libro di Paolo Rumiz è un libro da leggere, ma soprattutto da rileggere. È uno di quei libri “da comodino”, che si possono tenere pronti all’uso, per poterne gustare qualche pagina qual e là, secondo il momento.
“spesso non sei tu a cercare gli argomenti ma sono gli argomenti che ti tagliano la strada e ti fanno cambiare direzione”.
Queste sono le parole di Rumiz in un’intervista relativa alla genesi de Il filo infinito.
Era il 2017 quando il quotidiano Repubblica chiese all’autore di partire un viaggio lungo la linea di faglia del terremoto appenninico che nella notte del 24 agosto 2016 aveva devastato buona parte dell’Italia centrale. Rumiz accetta, i reportage e la narrativa di viaggio sono da sempre il suo pane, in più camminare gli piace; quindi organizza la troupe che lo seguirà per le riprese e parte. Amatrice, Camerino, la piana di Castelluccio. Quando arriva sul crinale si rende conto di essere nel baricentro d’Europa.
La tragedia di quel terremoto lo porta a dover registrare con gli occhi e con lo spirito la coabitazione tra l’oscenità della distruzione e l’incanto vertiginoso di un paesaggio in bilico fra due mari. Nel cuore di quell’Appennino che è storicamente terra sismica e di ricostruzione.
"Qui abita l’Europa. Qui in Appennino c’è il cuore e l'Italia, se perde questo, ha perso se stessa”.
Rumiz arriva a Norcia e fra le macerie vede, al centro della piazza, la statua di San Benedetto: intatta.
Da laico e mangiapreti come ama definirsi, rimane molto colpito, interpreta quello strano avvenimento come un segno, qualcosa che richiede fortemente la sua attenzione.
Quella sera stessa inizia la sua ricerca su Benedetto. Come poteva, un uomo nato nel 480 dopo Cristo essere oggi così attuale, moderno, rivoluzionario? Rumiz rimane affascinato da Benedetto e sceglie un filo, quello dei monasteri benedettini, che lo porterà su e giù, da Norcia a Praglia, in veneto. Da Sankt Ottilien, in Germania a Viboldone. E poi ancora Muri Gries, in Sud Tirolo, San Gallo in Svizzera, a Cîteaux in Francia, a Pannonhalma in Ungheria e tanti altri luoghi nei quali incontra neri monaci che gli svelano la forza della Regola di San Benedetto.
A mano a mano che il viaggio prosegue il filo si allunga, il gomitolo si dipana. Una tessitura fine e tenacissima, iniziata nel quinto e sesto secolo dopo Cristo, in un continente allo sfacelo dove la fine dell’Impero Romano e l’invasione di popolazioni barbariche avevano trasformato i territori in luoghi inselvatichiti, improduttivi e sterili. Da questo parte l’intuizione di Benedetto che accantonò l’eremitaggio per dedicarsi a un’idea di cristianizzazione tutta sua, che passava necessariamente dal concetto di gruppo, di autosufficienza (ah! il km zero che ci sembra cosa tanto moderna!) e di stabilitas, scegliendo con intuito e sapienza territori abbandonati e trasformandoli luoghi di eccellenza, dove cultura e lavoro e silenzio furono i valori fondantiIl concetto di “rete” in epoca antica, insieme alla nobilitazione del lavoro manuale sono spesso al centro di questo viaggio e di tanti incontri strepitosi che Rumiz ha la fortuna di fare fra le spesse mura delle abbazie.
Ora et labora. Vivi secondo la Regola e troverai la tua libertà. La tua voce interiore.
Accogli. Rispetta. Ascolta. Che sia (anche) per questo che le abbazie benedettine, così differenti e eccezionali rispetto alle gerarchie ecclesiastiche, sono tutt’oggi meta di molti studiosi?
Con questo libro Rumiz dimostra di non essere solo un grande giornalista, viaggiatore e scrittore. È uomo che pensa e cammina. che cammina e osserva, che si lascia stupire e conquistare.
Paolo Rumiz
Il filo infinito
Feltrinelli, 2019