Regalami una tregua, vita mia!
Questo libro è una bomba. Non solo perché è splendido e ricco di spunti di riflessione. Lo è anche perché, come una bomba, esplode senza nessun preavviso, lasciando tutti attoniti. Primo fra tutti Martin Santomé, protagonista e impiegato quasi quarantanovenne in una Montevideo degli anni ’50. Prossimo alla pensione, perché nell’Uruguay di quegli anni la gente andava in pensione all’età di 50 anni, Martin trascorre una vita monotona e in qualche modo rassegnata. Tre figli oramai adulti, una moglie morta quando lui era ancora giovanissimo, un lavoro noioso in una ditta di componenti meccanici. Ogni giorno uguale al precedente. Una vita in accumulo. Il sogno della pensione oramai vicinissima diventa alternativamente desiderio di liberazione e paura. Cosa farò, si chiede Martin, una volta che avrò tanto tempo a disposizione? Sto invecchiando, il mio corpo mi sta tradendo.
Benedetti sceglie la forma diaristica perché il susseguirsi dei giorni raccontati da Martin diventi cronaca della frustrazione di un’intera classe sociale, la media; di un paese, l’Uruguay di allora con i suoi sconvolgimenti politici interni, le crisi economiche e l’instabilità sociale.
“Si, c’è gente che si rende conto di quanto sta accadendo e che è convinta che quanto sta accadendo si assurdo, ma si limita a lamentarsi. Manca la passione, ecco il segreto del grande baraccone democratico che è diventato il nostro paese. Per troppi anni ci siamo mostrati sereni, obiettivi, ma l'obiettività inoffensiva non serve a cambiare il mondo né tantomeno un paese di pezza come nostro. Ci manca la passione, la passione gridata almeno pensata o scritta a grida. Bisogna urlare nelle orecchie della gente, perché la sua apparente sordità è una specie di autodifesa, di vile e malsana autodifesa. Bisogna fare in modo che ne più si risvegli la vergogna per loro stessi, che negli animi l'autodifesa ceda il posto il disgusto di sé. Il giorno in cui gli uruguayani proveranno disgusto per la loro apatia, quel giorno si sarà fatto un gran passo avanti".
Poi come spesso accade, quella cosa tremenda e meravigliosa che è la vita ci mette di fronte a uno spiraglio. A noi aprire quella porta o passare oltre. A noi essere curiosi di ciò che sta dall’altra parte o fare finta di nulla. Martin sembra voler scegliere la seconda opzione. Lui che si era costruito così meticolosamente una routine protettiva poteva forse ammettere a se stesso che quella nuova collega, quella signorina Avellaneda, così giovane, così volenterosa, così lontana da tutto ciò che per lui rappresentava la bellezza ricordata di sua moglie potesse in qualche modo farlo sentire vivo? Lui, oramai invecchiato. Nello spirito, nelle abitudini, nel fisico. Lui alla soglia di una meritata pensione. Forse. Una tregua.
“Ha detto: Ti amo. Allora mi sono reso conto che era la prima volta che me lo diceva […] Avellaneda invece l’aveva detto una sola volta, quella indispensabile. Può darsi che non abbia bisogno di dirlo più, perché non è un gioco: è qualcosa di essenziale. E subito ho avvertito un terribile peso al petto, un’oppressione che non sembrava interessare questo o quell’organo, ma era quasi asfissiante. Insopportabile. Qui, nel petto, vicino alla gola, qui deve stare, raggomitolata, l’anima”.
Mario Benedetti
La tregua
Traduzione Francesco Saba Sardi
Nottetempo,2014
Mario Benedetti
La tregua
Alfa. 1960