Nomen omen, dicono. Pellicani, un nome che è già tutto un programma perché davvero te lo immagini: secco secco e col naso adunco. Infatti la descrizione è solo conferma. Le parole corrispondono perfettamente all’immagine che già si era disegnata con precisione nella mente.
Pellicani, dunque.
Pellicani che torna dopo vent’anni nella casa paterna, scoprendo che l’edificio in cui è cresciuto è l’unico ad essere rimasto in piedi in una quartiere di case nuove. Un condominio completamente vuoto, in stato di abbandono, uno scheletro di mattoni che custodisce, nel fondo di un appartamento, il respiro di un vecchio paralitico ancora in vita: Pellicani padre.
Com’è possibile? Come può Pellicani essere rimasto a vivere in un luogo del genere? Chi si occupa di lui? Come può esserci elettricità, e acqua, e cibo in un posto in cui i colori sono smorzati dalla polvere di anni, dove aria e luce sono immobili come in un fermo immagine?
Paranoia, invenzione, finzione o realtà? Buio in sala, parte il film.
I Pellicani, storia di un’emancipazione.
Finalmente respiravo! Libertà! Indipendenza! Lo slancio dell'emancipazione m'aveva Messo le ali ai piedi, in un attimo mi trovavo sulle scale, scendevo di corsa, incurante dei pericoli, mi lasciavo alle spalle la vecchiaia, ricattatoria e rinunciataria, e mi protendevo tutt'intero Verso l'anarchia della gioventù.
Ogni pagina è un bluff.
Vi avverto. Non pensateci nemmeno all’emancipazione. Il divenire, l’acquisire, l’assimilare, digerire e trasformare in nuova prospettiva è qualcosa che manca come l’ossigeno, pagina dopo pagina.
Quello che bisognerà fare è attendere un attimo di distrazione del protagonista e cercare di fuggire velocissimi e silenziosi.
Oppure, è una scelta anche questa, decidere di restare.
Per restare in apnea ci vogliono polmoni forti, allenamento e perseveranza. Come Pellicani.
La sua paralisi era tutto sommato una scusa accettabile per non partecipare alla vita sociale e lasciarsi andare in malora. il mio isolamento era invece il segno indiscutibile della mia rivolta contro l'ordine vigente del mondo.
Sergio La Chiusa prima di questo romanzo ha scritto poesia. Sicuramente nella sua libreria troveremmo Kafka e Canetti. Con tutta probabilità anche molto Beckett.
Attendo – perché bisogna pur sperare nelle cose belle – che qualche illuminato regista decida di portare i Pellicani a teatro.Sarebbe un’avventura. Nel frattempo la lettura è come entrare in una chiesa barocca e riempirsi gli occhi di minutissime invenzioni artistiche.
Premi
Finalista al XXXII Premio Calvino
Finalista Premio Nazionale Narrativa Bergamo
Finalista Premio Letterario Giuseppe Berto
Finalista al Premio Fondazione Megamark
Menzione speciale Treccani
Sergio La Chiusa
I Pellicani
Miraggi edizioni, 2020