L’arcipelago del cane di Philippe Claudel

Di umanità e di confini

Nero è il colore di questo romanzo, eppure il luogo in cui è ambientata la vicenda è scintillante di blu e accecante di bianco. Incastonato nel Mar Mediterraneo, l’arcipelago del cane ha le sembianze di un cane rabbioso. Le fauci aperte, cieche di rabbia, pronte a mordere chiunque osi avvicinarsi. Visto dall’alto, l’arcipelago è un cane cattivo, con una bava fatta di scogli aguzzi, inaccessibili a chiunque non sia nato fra quelle onde, sotto quel sole. L’isola più grande è abitata da un pugno di persone: per loro il continente è qualcosa che si intuisce all’orizzonte, un modo parallelo di cui si conosce l’esistenza ma del quale sentirsi estranei, separati da un confine d’acqua che divide uomini, tradizioni, leggi. Improvvisamente, in un giorno di settembre, la realtà del mondo irrompe come un’ondata violenta: il mare deposita sulla spiaggia tre cadaveri; non si sa di chi siano, né come siano finiti lì. A scoprirli durante la passeggiata mattutina col suo cane è un’anziana signora. Scatta l’allarme, le autorità dell’isola – il Parroco, il Sindaco, il Dottore e il Maestro sono chiamate a prendere atto dell’accaduto.
Il da farsi è qualcosa da decidere in fretta. Denunciare il ritrovamento equivale a turbare la tranquilla vita degli abitanti. Soprattutto è subito evidente che l’accaduto potrebbe macchiare l’immagine idilliaca dell’isola a scapito degli investimenti e dei progetti già avviati per la costruzione del lussuoso impianto termale. Che fare, dunque, per proteggere i propri confini da qualcosa che potrebbe compromettere il riscatto sociale ed economico dell’isola? La volontà di alcuni di occultare i cadaveri per salvare le apparenze è qualcosa che il lettore intuisce da subito e che da subito rifiuta in quanto oscenamente disumana.

Il ritmo del romanzo cresce ad ogni pagina: alla coscienza del giovane maestro che inizia a porsi delle domande per comprendere l’accaduto è contrapposta l’omertà del sindaco che alza rapidamente muri fatti di silenzio. Noi e loro, noi e te, che non sei nemmeno nato qui e degli isolani non hai né il sangue né la testa. La natura umana è complessa, soprattutto quando nel pericolo si rivela disumana.

Ci sono moltissimi modi per narrare i confini e in questo romanzo Philippe Claudel sceglie di farlo con parole misurate e frasi cristalline, capaci di disegnare personaggi che non necessitano nemmeno di nomi. Sono archetipi e come tali incarnano aspetti e debolezze che appartengono a tutti noi. A volte per vedere il confine fra ciò che è dentro e ciò che è fuori, sia terra o anima, è necessario spingersi proprio sull’orlo dell’abisso e, senza paura, guardare e vedere.

Come ogni buon libro, anche questo romanzo di Philippe Claudel può essere letto con sguardi differenti: può essere un noir, un romanzo civile, un romanzo di denuncia. Io ho scelto di leggerlo con la lente dell’introspezione, per riflettere su come l’indifferenza possa avere un confine molto labile con il territorio dell’odio.

“Poco importano i nomi degli esseri che la popolano l’isola. Si potrebbero mettere i vostri al loro posto. Vi somigliate moltissimo, usciti come siete dallo stesso immutabile stampo”.

Philippe Claudel
L’arcipelago del cane
traduzione di Francesco Bruno

Ponte alle Grazie, 2019

condividi

altre letture