Di umanità e di confini
Il ritmo del romanzo cresce ad ogni pagina: alla coscienza del giovane maestro che inizia a porsi delle domande per comprendere l’accaduto è contrapposta l’omertà del sindaco che alza rapidamente muri fatti di silenzio. Noi e loro, noi e te, che non sei nemmeno nato qui e degli isolani non hai né il sangue né la testa. La natura umana è complessa, soprattutto quando nel pericolo si rivela disumana.
Ci sono moltissimi modi per narrare i confini e in questo romanzo Philippe Claudel sceglie di farlo con parole misurate e frasi cristalline, capaci di disegnare personaggi che non necessitano nemmeno di nomi. Sono archetipi e come tali incarnano aspetti e debolezze che appartengono a tutti noi. A volte per vedere il confine fra ciò che è dentro e ciò che è fuori, sia terra o anima, è necessario spingersi proprio sull’orlo dell’abisso e, senza paura, guardare e vedere.
Come ogni buon libro, anche questo romanzo di Philippe Claudel può essere letto con sguardi differenti: può essere un noir, un romanzo civile, un romanzo di denuncia. Io ho scelto di leggerlo con la lente dell’introspezione, per riflettere su come l’indifferenza possa avere un confine molto labile con il territorio dell’odio.
“Poco importano i nomi degli esseri che la popolano l’isola. Si potrebbero mettere i vostri al loro posto. Vi somigliate moltissimo, usciti come siete dallo stesso immutabile stampo”.

Philippe Claudel
L’arcipelago del cane
traduzione di Francesco Bruno
Ponte alle Grazie, 2019