Per certe persone alcuni argomenti sono veramente tabù. Se la morte è uno di questi, questo post non fa per voi.
“Chi non desidera leggere una descrizione realistica della morte e dei cadaveri, è incappato nel libro sbagliato. Qui siete chiamati a togliervi metaforicamente la benda dagli occhi”
Caitilin Doughty mi avvisa fin dalle prime righe. Ok, decido di proseguire. In fondo ci sono cose che mi sono sempre chiesta. Non le cose sull’anima, che quelle chissà…sono quelle sul corpo a interessarmi.

Molti lettori sostengono che un’opera debba bastare a se stessa, che il sapere – o meno – le vicende dell’autore non cambi la qualità del testo. Io sono d’accordo a metà. Perché sapere che questo romanzo è datato 1948 può fare la differenza. E se il periodo storico non fosse sufficiente, sicuramente per me lo è stato il sapere che Gore Vidal fu considerato l’enfant terrible della cultura americana e che La statua di sale fu ostacolato dalla critica che lo definì osceno.
La lenta, faticosa scoperta e accettazione di se stessi. Ecco, se dovessero chiedermi di cosa tratta questo romanzo, forse lo definirei così.
Jim e Bob, compagni di scuola nella benestante Virginia. Giovani, belli, atletici e amici. Dopo la cerimonia dei diplomi passano un ultimo pomeriggio insieme prima che Bob, maggiore di un anno, parta per la vita di mare. Un pomeriggio cameratesco che sfuma fra il gioco, le confidenze in punta di piedi e i battiti accelerati di giovani cuori in una prima esperienza d’amore omosessuale. Ci scriviamo, vero? Ci rivedremo per mare, vero? Ma il mare è grande e i due ragazzi, pur credendosi tanto affini, quasi gemelli dice Jim, sono di fatto molto differenti. Per mare non si incontreranno mai.

“Hai bisogno di qualcuno che ti prenda in giro. Altrimenti saresti insostenibile. Una settimana e non ti sopporteresti più”.
Howard Backer è fermo al semaforo: aspetta che scatti il verde. Mille pensieri più o meno banali e assolutamente terreni gli attraversano la mente durante l’attesa.
Quando riparte, la strada a dieci corsie davanti a lui lo porta direttamente in una città sconosciuta.
Howard arriva in Paradiso: ché non è d’oro puro e cristallo trasparente come quello descritto da San Giovanni nel libro dell’Apocalisse, piuttosto una metropoli moderna fatta di grattacieli, strade e uffici.

Sono già passati diversi mesi dalla lettura di questo libro e anche ora non lo so se sarò capace di scriverne come vorrei. La sensazione è di avere fra le mani qualcosa di prezioso e fragile, da custodire avvolto in fogli di carta velina perché non si rompa. In realtà l’opera prima di questa autrice classe 1985 è tutt’altro che fragile. Intanto perché ogni capitolo si apre con una citazione tratta da Paradiso Perduto di Milton, poi perché questo libro ha la potenza di un elisir, di un balsamo che cura ferite antiche, forse mai del tutto rimarginate.