La goccia d’oro, di Michael Tournier, La diva Julia di Somerset Maugham e L’uomo che guardava passare i treni di George Simenon.
Ci sono tanti modi di essere lettori. Uno di questi, che sento appartenermi in modo particolare, è quello che mi fa cercare collegamenti fra le cose.
Per questi tre libri il mio fil rouge è stato il concetto di Immagine. Immagine reale, immagine percepita. Specchio, immagine falsa, falsata, inventata. Realtà, immagine deformata. Verità.
Ci sono tanti modi di essere lettori. Uno di questi, che sento appartenermi in modo particolare, è quello che mi fa cercare collegamenti fra le cose.
Per questi tre libri il mio fil rouge è stato il concetto di Immagine. Immagine reale, immagine percepita. Specchio, immagine falsa, falsata, inventata. Realtà, immagine deformata. Verità.
Categoria: Romanzo
Sono una curiosa. Volevo capire perché questo libro che riempie le vetrine ed è sulla bocca di tutti sta riscuotendo così successo.
L’ho terminato oggi e un’idea me la sono fatta.
Il libro si legge velocemente, è scorrevole e leggero nonostante l’argomento certamente non lo sia.
E questo lo considero comunque un punto a favore.
La Postorino ci racconta la storia delle assaggiatrici di Hitler, un gruppo di dieci donne che nell’autunno del ’43 vengono assoldate per mangiare tre volte al giorno i pasti destinati al Führer.
Questo è un libro di confini. Dove c’è un dentro e un fuori. Dove c’è un’immobilità fisica e di pensiero. Dove la paura paralizza e spinge a un rifiuto di qualsiasi azione di salvezza.
Sembra però anche un quadro di Bruegel, perché la storia è intinta in una pece nera, che sa di medioevo del pensiero, di ipocrisie squisitamente umane, di tragicomico destino che gli abitanti in qualche modo scelgono di abbracciare.
Pier Vittorio Tondelli lo chiamava «lo scrittore più sottovalutato d’Italia».
Il marchigiano Severini.
Schivo, colto, misurato. Poche interviste, pochissime apparizioni.
A dimostrazione che si può essere grandi anche senza stare sulla ribalta.
In Dilettanti si percorrono cinquant’anni di vita italiana, di provincia.
E questo non è un particolare da poco.
La provincia di Severini ha i contorni di un vero e proprio personaggio in questo libro: oltre a Sergio, Giancarlo, Giulio, Vincenzo, Giovanna e Marcello c’è l’aria ferma della provincia che marca la sua presenza in modo forte, forse decisivo per coloro che in queste pagine si muovono come dilettanti della vita.
Di quante etichette, di quante caselle abbiamo bisogno per sentirci meno insicuri?
In queste duecento pagine Alexandre ce le scompiglia tutte quelle caselle.
Perché ha la pelle scura ma parla dialetto.
Perché di fronte a una famiglia biologica che lo reclama come bravo musulmano lui dice no, anche se poi di fronte al resto del mondo di mangiare maiale non se ne parla proprio.
Perché lui sui divani arabi che arredano case svizzere non si trova a suo agio. Perché “essere” di chi ti cresce non è sempre semplice.
Eppure chi ti guarda le vede chiare le tue radici. Oppure no?
“Hai bisogno di qualcuno che ti prenda in giro. Altrimenti saresti insostenibile. Una settimana e non ti sopporteresti più”.
Howard Backer è fermo al semaforo: aspetta che scatti il verde. Mille pensieri più o meno banali e assolutamente terreni gli attraversano la mente durante l’attesa.
Quando riparte, la strada a dieci corsie davanti a lui lo porta direttamente in una città sconosciuta.
Howard arriva in Paradiso: ché non è d’oro puro e cristallo trasparente come quello descritto da San Giovanni nel libro dell’Apocalisse, piuttosto una metropoli moderna fatta di grattacieli, strade e uffici.
Sono già passati diversi mesi dalla lettura di questo libro e anche ora non lo so se sarò capace di scriverne come vorrei. La sensazione è di avere fra le mani qualcosa di prezioso e fragile, da custodire avvolto in fogli di carta velina perché non si rompa. In realtà l’opera prima di questa autrice classe 1985 è tutt’altro che fragile. Intanto perché ogni capitolo si apre con una citazione tratta da Paradiso Perduto di Milton, poi perché questo libro ha la potenza di un elisir, di un balsamo che cura ferite antiche, forse mai del tutto rimarginate.
Prendete un calendario, andate indietro fino agli anni del dopoguerra e proiettatevi a Parigi, nel XX arrondissement. Arriverete a Belville, il quartiere che vide nascere Edith Piaf e che in tempi più recenti ha fatto da cornice ai romanzi di Pennac. In questo quartiere dal respiro multientico, precisamente al sesto piano di un vecchio palazzo senza ascensore, vive Momo: uno dei tanti figli di puttane allevati da Madame Rosa.
Così come la neve del libro, ho atteso che si sciogliesse il grumo di emozioni che queste pagine mi hanno lasciato.
Inizio da quella che ho inteso come un rito di iniziazione: la descrizione- nelle prime pagine – dell’assenza di igiene di Adelmo mi ha procurato quasi un conato di vomito. L’ho presa così: se riesci a superare questo, ti dò il permesso di inoltrarti nel sentiero e di leggere il resto del libro! Così è stato, per fortuna.
È un libro talmente denso di chiavi di lettura che fatico a sceglierne una, così mi affido ai cinque sensi.